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L’IMMAGINE FEMMINILE NELLA PUBBLICITA’ – UNA RICERCA (2010-2011)

PERCHÉ QUESTA RICERCA ?

È stata condotta una ricerca sugli stereotipi di genere negli annunci stampa.

L’idea nasce dalla necessità di analizzare e quantificare in modo preciso e razionale i messaggi discriminatori nei confronti delle donne trasmessi dalla pubblicità a stampa.

Dalla ricerca sono stati esclusi quotidiani, non rilevanti dal punto di vista quantitativo per gli annunci pubblicati, e si è deciso di analizzare periodici femminili e familiari, in funzione della loro tiratura.

CONSULTA LA RICERCA COMPLETA 

Ricerca stereotipi annunci stampa

L’ISTITUTO DELL’AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA (IAP)

A proposito di strumenti di intervento, è necessaria una precisazione su quali sono le norme che regolano la pubblicità.

Oltre alle leggi vigenti in materia, esiste un organo di autocontrollo, lo IAP l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria. La prima idea di un organo di autocontrollo nasce nel 1963 con il 7° Congresso Nazionale della Pubblicità e nel maggio 1966 viene emanato il Codice della Comunicazione Commerciale, con cui ha inizio quella che viene definita “l’era dell’Autodisciplina Pubblicitaria” (Roberto Cortopassi, Presidente Onorario dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Per i 40 anni dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, IAP, Milano, 1996, pag. 15)

Nelle sue finalità si legge che
“Il Codice della Comunicazione Commerciale ha lo scopo di assicurare che la comunicazione commerciale…venga realizzata come servizio per il pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore” e sostiene inoltre che la comunicazione commerciale deve essere “onesta, veritiera e corretta.”
(IAP, Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, Finalità, 51ª edizione, in vigore dal 10 gennaio 2011)

Nell’ottobre del 2006, in occasione del quarantesimo anno di attività, lo IAP ha realizzato una mostra dal titolo “Pubblicità con giudizio – 40 anni di pubblicità vista dal Giurì”, per far conoscere al pubblico, che solitamente ne percepisce la sola dimensione commerciale, il valore culturale della pubblicità dato dalla sua capacità di rappresentare valori e modalità espressive della società, e di evidenziare la capacità della business community di esprimere un elevato grado di responsabilità sociale proprio attraverso l’azione dell’autodisciplina pubblicitaria.
La mostra è stata ospitata a Torino nel 2008, in coincidenza con la Festa della Donna l’8 Marzo.

E, proprio in materia di responsabilità sociale e di osservanza delle regole contenute nel Codice, organi dello IAP, quali il Giurì e il Comitato di controllo, possono intervenire “bocciando” una campagna qualora vengano rilevati al suo interno contenuti e indicazioni scorrette.
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, Art. 32: Il Giurì esamina la comunicazione che gli viene sottoposta e si pronuncia su di essa secondo il presente Codice.

Il Codice di Autodisciplina “è vincolante per aziende che investono in comunicazione, agenzie, consulenti, mezzi di diffusione, le loro concessionarie e per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di inserzione”
“Gli Enti si impegnano a osservare e a far accettare dai loro associati le norme del Codice da loro stessi formulate, a diffondere la conoscenza delle decisioni autodisciplinari, nonché ad adottare adeguati provvedimenti nei confronti degli associati che non si attengano ad esse.”

Ma…esistono alcuni ma, e cioè da un lato la scarsa “sensibilità” di chi opera nel settore pubblicitario a tutti i livelli e con funzioni differenti e dall’altro i limiti dello stesso IAP.

Come sostiene infatti Carla Di Gianvincenzo
“…la strada da percorrere è ancora abbastanza lunga e tortuosa: ne è una dimostrazione il fatto che in Italia, su 70 mila comunicatori attivi, il numero di adesioni alle diverse associazioni professionali non supera il valore di 5 mila. Meno del 10% dei comunicatori professionisti in attività è sufficientemente consapevole del suo lavoro da sentire l’esigenza di far parte di un’associazione professionale. È questo un indice esplicito della scarsa responsabilità sociale dei comunicatori (non solo in Italia). Ragion per cui auspichiamo che gli argomenti trattati diventino oggetto di riflessione di molti e che il fenomeno abbia ulteriori e positivi sviluppi.”
(Carla Di Gianvincenzo, opera citata in Bibliografia)

E se questo può essere un limite legato alla professionalità degli operatori del settore, non può essere ignorato come lo IAP, che ha lavorato e continua a lavorare nella direzione di una pubblicità “corretta”, per quanto riguarda l’attenzione specifica ad una lettura “di genere” della pubblicità possa trovarsi spesso in difficoltà.

Difficoltà non solo legate ai limiti determinati dalla mancanza di riferimenti giuridici specifici, alla spinosa questione del confine tra censura e tutela della creatività, ma anche alla sua stessa composizione.

I membri dei vari organismi della struttura organizzativa dello IAP sono infatti, così come nella maggioranza di strutture analoghe, prevalentemente uomini:

nel Consiglio Direttivo su 29 membri 7 sono donne,

nella Commissione di studio su 27 membri ci sono 7 donne,

i Revisori dei Conti sono 4 di cui 1 donna,

il Giurì è composto da 26 membri di cui 5 donne,

nel Comitato di controllo su 16 membri ci sono 7 donne,

nell’Albo Consulenti del Giurì ci sono 14 uomini e 2 donne e tra tutti coloro che ne fanno parte non esiste un’esperta/o di Pari Opportunità.

Nonostante le migliori intenzioni e l’alta professionalità dei componenti, la capacità di valutazione in materia di stereotipi di genere risulta per lo meno un po’ squilibrata.

Le cose stanno lentamente cambiando: alla Tavola Rotonda per l’apertura dell’Anno IAP 2011 è stata invitata l’allora Ministra per le Pari Opportunità e, per continuare “la battaglia contro l’utilizzo distorto dell’immagine della donna all’interno dei messaggi pubblicitari”
il Dipartimento per le Pari Opportunità e lo IAP hanno firmato un Protocollo di Intesa che
“permette di lavorare in sinergia per il raggiungimento di obiettivi comuni. Un atto di co-regulation tra pubblico e privato, senza alcun onere per le casse dello Stato, che però … consente di realizzare … un obiettivo assolutamente nobile e anche necessario da perseguire: …la battaglia contro le degenerazioni, spesso veri e propri orrori, che la comunicazione pubblicitaria purtroppo molto spesso … offre.”
(Mara Carfagna, Ministra Pari Opportunità, Atti della Tavola Rotonda per l’Apertura Anno IAP 2011, Milano, 22 marzo 2011)

Grazie a questo Protocollo, il Dipartimento può chiedere, su segnalazione di cittadini o associazioni o anche spontaneamente, il ritiro di pubblicità che sono apertamente sessiste e volgari, in contrasto con la dignità della donna e con quella idea di pari opportunità che la Costituzione Italiana e leggi dello Stato sanciscono.

LOFFICINA E GLI INTERVENTI CONTRO LA PUBBLICITÀ SESSISTA

Esistono quindi possibilità di intervento contro la pubblicità sessista e portatrice di stereotipi di genere e proprio in questo ambito opera LOFFICINA.

LOFFICINA vuole fare da stimolo per lo sviluppo della consapevolezza nei destinatari della comunicazione, troppo spesso passivi e disattenti, e intende coinvolgere nel processo di superamento degli stereotipi gli addetti ai lavori, i creativi e i responsabili di marketing.

L’obiettivo è indurre a riflettere in modo critico sulla visione della realtà offerta dalla pubblicità, sulle conseguenze generate dagli stereotipi, sulle distorsioni operate dai mass media, sulla finta realtà in cui le donne vengono presentate, o meglio, ingabbiate in ruoli di madri felici, casalinghe perfette o corpi ammiccanti e seducenti disponibili a qualsiasi desiderio, sul valore assoluto di un aspetto estetico di “eternamente giovane”, sulla cura ossessiva del proprio corpo e su conseguenze che possono sconfinare in patologie come anoressia e bulimia.

Il raggiungimento di questo obiettivo passa attraverso l’informazione e la conoscenza e, per questo motivo, LOFFICINA ha in programma interventi di formazione destinati agli studenti. Se da un lato, infatti, i giovani sono indicati nelle ricerche sugli effetti della pubblicità come “soggetti deboli” nei cui confronti è necessaria un’opera di sensibilizzazione, dall’altro non bisogna dimenticare che proprio tra questi giovani ci saranno i comunicatori e i professionisti di domani. Quindi l’attenzione rivolta alle scuole è prioritaria, in particolare nei confronti degli studenti dei corsi di studio a indirizzo grafico e artistico, i pubblicitari di domani.

Tra le iniziative de LOFFICINA, la richiesta allo IAP, recepita positivamente, circa la necessità di ampliare l’art 10, in cui oggi si legge “La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose. Essa deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione.”

La formulazione aggiuntiva “evitare ogni forma di discriminazione” include ovviamente le discriminazioni di genere e proprio da qui nasce l’attività di analisi e denuncia de LOFFICINA.

La procedura di denuncia delle campagne ritenute discriminatorie è molto semplice e prevede la compilazione di una scheda di rilevazione – realizzata ad hoc– e il suo inoltro allo IAP, che è tenuto a rispondere. Grazie a queste denunce in alcuni casi le campagne sono state bocciate con conseguente obbligo di ritiro.

Ma esiste ancora molto lavoro da fare e, oltre all’attività di denuncia, è altrettanto necessario sapere come agire e conoscere le modalità di intervento.

LOFFICINA sta lavorando per fare in modo che la sua attività venga conosciuta e il Web è un supporto fondamentale per trasmettere queste informazioni e coinvolgere tutti coloro che ritengono importante cercare di modificare una realtà esistente e radicata che danneggia e offende le donne.

LA RICERCA: LA SCELTA DELLE TESTATE E I TEMPI DI ANALISI

È in questo ambito di attività che si colloca il progetto di una ricerca sugli stereotipi di genere nella pubblicità.

L’idea di una vera e propria ricerca nasce dalla necessità di analizzare e quantificare in modo preciso e razionale i messaggi discriminatori nei confronti delle donne trasmessi dalla pubblicità e quindi, dopo un avvio dell’attività di monitoraggio e denuncia di pubblicità sia televisiva sia stampa, inizialmente piuttosto casuale, si è deciso di utilizzare una modalità di indagine più “scientifica”.

L’osservazione è stata quindi indirizzata esclusivamente agli annunci stampa per la difficoltà oggettiva di monitorare un mezzo di comunicazione quale la televisione, che richiederebbe un impegno di persone e tempo elevatissimo.

Definita come oggetto di analisi la pubblicità a stampa, dall’indagine sono stati esclusi i quotidiani, non rilevanti dal punto di vista quantitativo per gli annunci pubblicati, e si è deciso di analizzare periodici femminili e/o familiari, scelti in funzione della loro tiratura.

Sulla base delle maggiori tirature 2009 sono state prese in esame le testate scelte per un tempo “simbolico” di nove mesi, da marzo a dicembre 2010.

Conclusa la rilevazione a fine 2010, si è notato come la continuazione delle rilevazioni, con l’aggiunta di alcuni dati, avrebbe potuto contribuire ad un maggiore approfondimento e chiarire alcuni aspetti emersi nel corso dell’analisi. La raccolta dei dati è così proseguita nel primo trimestre 2011.

La ricerca prende in esame i dati relativi all’intero periodo marzo 2010 – marzo 2011 per le testate:

SETTE DEL CORRIERE DELLA SERA, D LA REPUBBLICA DELLE DONNE, ESPRESSO, GRAZIA, VENERDÌ DI REPUBBLICA

e inoltre per il periodo gennaio – marzo 2011:

DONNA MODERNA, FAMIGLIA CRISTIANA, OGGI, SORRISI E CANZONI TV

LA RICERCA: LA RACCOLTA DEI DATI

È stata realizzata una griglia di valutazione che, nella prima fase dell’indagine, prendeva in considerazione il totale delle pagine della testata, il numero complessivo delle pagine pubblicitarie, quelle contenenti immagini di donne e quelle, all’interno delle immagini femminili, che le presentavano in atteggiamenti discriminatori, atteggiamenti cioè che rimandano ad una immagine stereotipata di donna.

PER VISIONARE LE TABELLE CONSULTA LA RICERCA COMPLETA (link a inizio articolo)

I CRITERI DI VALUTAZIONE

Ma come è stato definito il criterio generale per valutare “scorretta” una immagine femminile?

È stata individuata e segnalata nelle rilevazioni quella immagine che costituisce una rappresentazione esclusivamente a fini di forte impatto visivo ed emotivo e/o che presenta una realtà artificiale e illusoria e in cui la donna è proposta con atteggiamenti discriminatori, riduttivi e svilenti, non rispettosi della dignità e dei criteri della parità di genere.

Nel luglio 2007 il Financial Times esce con un articolo interamente dedicato al nostro paese dal titolo Nuda Ambizione, dove vengono evidenziati proprio questi elementi e sono messi sotto accusa l’industria dello spettacolo e quella della pubblicità “che svestono le donne in ogni dove” con il conseguente quadro di “un’Italietta fatta di massaie e veline, le prime intente a fare tagliatelle, le seconde ad esibire il fondoschiena.”

Modelli in cui per pubblicizzare qualsiasi prodotto, dal detersivo all’abito, le donne vengono presentate quasi esclusivamente attraverso uno stereotipo che ne snatura del tutto la vera identità.

Da un lato madri e mogli felici, casalinghe perfette, tutte ovviamente giovani e belle e dall’altro donne seduttrici, ammiccanti o sottomesse, pronte a soddisfare pulsioni voyeuristiche e offrirsi “pronte all’uso” come veri e propri “oggetti del desiderio”.

Immagini che non solo non rispecchiano la realtà, ma la distorcono presentando modelli estetici inarrivabili e proponendo una realtà inesistente perché artefatta.

A questo proposito è interessante rilevare come alcuni studi recenti sottolineano che la maggior parte delle immagini pubblicitarie e di moda sono ritoccate con photoshop, intervento che contribuisce ancor più ad una rappresentazione di corpi perfetti e volti senza segni che nella realtà non esistono.

LA RICERCA: L’ ANALISI DEI DATI

Partendo dalla prima fase di analisi che prende in esame, come già detto, cinque testate per nove mesi del 2010, risulta evidente come i settimanali femminili abbiano un maggior numero di pagine pubblicitarie con immagini di donne rispetto a quelli più generalisti.

Le pagine con queste immagini costituiscono grosso modo la metà del totale delle inserzioni pubblicitarie, con un’oscillazione che va dal 49,7% di D di Repubblica al 55,3% di Grazia, mentre ne L’Espresso, Sette del Corriere e Venerdì di Repubblica la percentuale si riduce fortemente, con dati che vanno dal 10.6% al 17.6%.

Ovvio che ogni messaggio pubblicitario è studiato per un target specifico, ma fa riflettere come attraverso l’utilizzo di immagini femminili legate a ruoli predefiniti e spesso stereotipati, seppur non riconducibili alla definizione di “offensivi”, si propongano modelli che poco hanno a che fare con la realtà. Dunque alle donne piace sognare, immaginare di essere come la pubblicità le presenta, oppure la consuetudine nel vedersi rappresentate da immagini in cui difficilmente si possono riconoscere ha indotto una specie di “abitudine” che non provoca alcuna reazione? Forse ci si trova di fronte ad una sorta di “anestesia mentale” in cui quanto si vede è così perché così è sempre stato, l’abitudine a una certa rappresentazione femminile induce una diminuzione del senso critico, anzi certe immagini di perfezione finiscono per diventare un modello di riferimento per molte?

Se si utilizza questa considerazione per leggere alcune realtà che ci circondano la conclusione è sconfortante. Ragazzine che accompagnate dalle madri si presentano in massa per provini da velina e la cui massima ambizione è l’apparenza fisica, stuoli di donne normali che, per essere “belle e desiderabili”, lottano per conquistare la “bellezza” spalmandosi di unguenti miracolosi che cancellano le rughe e sciolgono per incanto la cellulite o peggio, percentuali sempre in aumento di donne che si sottopongono a diete da carestia e ricorrono alla chirurgia estetica per modificare il proprio corpo e il proprio viso e cancellare qualsiasi caratteristica che non risponda al “modello” proposto/imposto.

Ma parliamo di pubblicità offensive, quelle dove non solo si presentano stereotipi e immagini illusorie, ma dove il corpo delle donne viene usato in modo offensivo, senza alcun rispetto e in chiaro contrasto con il già citato art. 10 del Codice IAP. In tutti i settimanali esaminati compaiono pubblicità che possono essere definite offensive, con un andamento che non evidenzia grandi differenze tra i giornali femminili e gli altri.

Le percentuali, che hanno una discreta oscillazione dal 2,4% di Chi al 20,3% di D di Repubblica potrebbero far pensare che il fenomeno è poca cosa, ma è forse poca cosa che comunque, in tutti i giornali presi in esame ci siano ancora oggi, in un paese che si dice civile e democratico, immagini che offendono le donne? Non si tratta di revanche moralistiche o di pruderie da censura anni Cinquanta.

LA RICERCA: LA SECONDA FASE

A fine 2010 è emersa l’impressione che, negli ultimi mesi della rilevazione, le pubblicità contenenti donne andassero diminuendo a favore di altre di solo prodotto e quelle catalogabili come offensive fossero in diminuzione.

Quindi la seconda fase della ricerca, quella relativa al primo trimestre 2011, vuole verificare se questa impressione trova riscontro nei dati. Come si può vedere nel grafico che segue, i dati non confermano del tutto la prima ipotesi: nei settimanali femminili le pagine di annunci contenenti immagini di donne non sono diminuite, hanno mantenuto livelli analoghi a quelli del periodo precedente, o sono addirittura aumentate, come nel caso di D di Repubblica che è passato dal 49,7%% al 63,7%, anche se le pubblicità di solo prodotto sono comunque rilevanti.

Il discorso cambia se si prendono in esame i dati relativi a settimanali generalisti dove gli annunci di solo prodotto sono decisamente superiori, in alcuni casi più del doppio di quelli con immagini femminili.

Questa osservazione conferma quanto già detto: può sembrare banale, ma sono proprio le riviste destinate al pubblico femminile a proporre e perpetuare modelli legati ad un immaginario, ancora figlio del passato, senza tenere conto dei cambiamenti sociali.

A questo proposito citiamo di nuovo il videomontaggio “MA LE DONNE. L’immagine femminile nella pubblicità televisiva” realizzato in collaborazione con il Comune di Torino.
È una «sintesi» di più di 40 anni di comunicazione pubblicitaria e dimostra che i tre stereotipi di genere prodotti dalla pubblicità – e cioè donna oggetto, casalinga perfetta e mamma felice – sono rimasti identici, praticamente inalterati nel corso dei decenni e che la comunicazione non sta al passo con l’evoluzione della società. Infatti è piuttosto difficile cogliere, se non fosse per l’abbigliamento, il divario temporale che li separa.

CONSIDERAZIONI FINALI

Il mercato, cioè le aziende, e di conseguenza anche gli editori, dà al pubblico quello che il pubblico vuole.
Ma le donne vogliono veramente continuare a rispecchiarsi nell’immagine che viene loro proposta o non preferirebbero vedersi rappresentate come veramente sono?

Ritornando alla seconda ipotesi e cioè che le pagine contenenti pubblicità offensive siano diminuite, si trova finalmente qualche dato positivo.

In ben tre dei settimanali in esame non ne compaiono e, tra questi Sette del Corriere della Sera che passa dall’11,3% del periodo marzo/dicembre 2010 allo 0% del primo trimestre 2011.
Non solo, ma nella maggioranza dei periodici analizzati, fatta eccezione per Grazia e L’Espresso, le percentuali sono decisamente più basse del periodo precedente.

Forse le aziende e gli operatori del settore sono diventati più attenti e “corretti”? Potrebbe essere un’ipotesi, così come si potrebbe ipotizzare che più che di correttezza si tratti del timore di incorrere in iniziative di denuncia come quelle de LOFFICINA, che hanno provocato la bocciatura di campagne scorrette con conseguente obbligo di ritiro, con quanto ne consegue dal punto di vista economico per il committente.

Comunque è indubbio che una costante attenzione e il controllo da parte dei cittadini sono importanti per indurre una maggiore cautela da parte di chi produce o commissiona una campagne pubblicitaria.

Si è detto inizialmente come questa breve analisi vuole essere un contributo alla riflessione su un tema di importanza fondamentale in un momento in cui la dignità delle donne italiane viene speso offesa e la realizzazione di quella “pari dignità sociale… senza distinzioni di sesso” enunciata nell’Art. 3 della nostra Costituzione non è ancora stata raggiunta dopo più di sessant’anni.

Fa ben sperare il fatto che, se fino a poco tempo fa la questione non veniva affrontata, o meglio, era oggetto di analisi e dibattiti in ambiti ristretti, quali quelli femminile e femminista, negli ultimi mesi “LA QUESTIONE FEMMINILE” è diventata oggetto di dibattito pubblico.

Fatti di cronaca clamorosi, e non solo italiani, sembrano aver risvegliato il senso critico delle donne.

“La ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità non è più tollerabile. Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici. Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano continuano ad inquinare la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza della nazione. Il modello di relazione tra donne e uomini incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni.”

Sono le parole dell’appello “Abbiamo superato la soglia della decenza” del comitato “Se non ora, quando?”.
Il comitato ha promosso la manifestazione del 13 febbraio 2011, che ha visto nelle piazze italiane più di un milione di donne e di cittadini che rivendicavano la loro dignità, e che sembra preludere a qualche cambiamento.

Se infatti nel 2010 si è parlato del “silenzio delle donne”, il 2011 è iniziato con un gran rumore e la realtà delle donne italiane è diventata argomento di attualità.

Tra i tanti articoli comparsi sulla stampa italiana in proposito ci pare di buon auspicio riportare quanto afferma Barbara Stefanelli nel suo articolo “La splendida realtà delle ragazze italiane” sul Corriere della Sera del 18 settembre 2011.
La giornalista, domandandosi se un certo tipo di giovane donna che punta tutto sul proprio corpo e sull’esteriorità rappresenta la modernità delle ragazze italiane, risponde senza esitazioni che
“…la modernità di tante giovani è altrove: … nelle università dove le studentesse raggiungono risultati sempre migliori, … nei curricula,… nella creatività,… nell’ottimismo delle mamme single, nell’energia delle ventenni che partono per una città straniera forti solo di sé… in chi si impegna nelle associazioni per i diritti delle persone.. nelle giovani immigrate, le più aperte all’integrazione…”.

I cambiamenti sono dunque possibili se le donne possono agire dall’interno del sistema economico e politico, se ci sarà una nuova leadership femminile.

In politica i primi risultati sono state le “giunte rosa” di Milano, Torino, Bologna e i ricorsi al Tar che prima a Roma e poi in tanti comuni piccoli e grandi stanno imponendo un maggior equilibrio di genere nelle giunte.

Ed è di questi ultimi giorni che una istituzione di rilievo come la Fondazione Bellisario in occasione del seminario internazionale “Donna economia e potere” ha presentato i primi risultati dell’iniziativa “Mille curricula eccellenti”.

Secondo l’elaborazione del Sole 24 Ore su dati presentati dalla Fondazione sono infatti 5300 le poltrone d’oro da sgombrare entro quattro anni nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate e delle aziende con la maggioranza di partecipazione pubblica. Poltrone da riservare alle donne.
Gli scettici, secondo cui nella popolazione femminile italiana mancano le competenze giuste per salire al vertice non hanno più scuse.
Sono stati certificati più di 1700 profili di eccellenza, curricula di donne inequivocabile prestigio, che andrebbero a sostituire per lo più persone meno preparate di loro: ex politici non riconfermati, faccendieri, consulenti.

Un passo in avanti introdotto dalla legge sulle quote di genere, prima ancora che entrasse in vigore, è l’avere acceso il dibattito puntando il faro sul merito.

“L’ entusiasmo con cui così tante manager e professioniste hanno accolto il nostro appello significa che il giacimento di talenti femminili nel nostro Paese è enorme ma soprattutto vuol dire che le donne sono pronte. Hanno conquistato fiducia e consapevolezza delle loro capacità e risorse. Sono decise a prendersi quello che spetta loro: famiglia, lavoro, carriera, leadership”, commenta la presidente della Fondazione Bellisario Lella Golfo.
“Meritocrazia. È stata proprio la negazione del merito femminile a farmi intraprendere con determinazione la battaglia per le quote di genere, in un ambito mai esplorato: l’economia e gli assetti di comando delle società. Una scelta meditata, frutto dell’esperienza acquisita con la Fondazione e della consapevolezza di un grande patrimonio di talenti femminili”.
(Caterina Ruggi d’Aragona – Il Sole 24 Ore – 28 ottobre 2011)

 

BIBLIOGRAFIA

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Susie Orbach, Corpi, Codice Edizioni, Torino, 2010

Carla Di Gianvincenzo, Brand reputation e responsabilità sociale della pubblicità, tesi di Laurea in Scienze della Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica, Università di Bologna, AA 2004/2005

Pienotti, L. Mucci E., Marchio e femmina. La donna inventata dalla pubblicità, Vallecchi, Firenze, 2004

Miletto, R. Bellotti A., I bambini e la pubblicità. Come rendere educativo il messaggio pubblicitario, Armando Editore, Roma, 2003

La pubblicità è femmina ma il pubblicitario è maschio, Sperling&Kupfer, 2002

Oltre il tetto di cristallo. Donne e carriera, una scalata difficile, Fondo Sociale Europeo-Isfol, 2000

La disparità virtuale, Armando editore, 1995

Giovanni Paolo II, “Centesimus Annus”, 1991

Di Giorgio, A., La donna e i mass-media, 1977, Editrice Esperienze, Cuneo

Vance Packard, The hidden persuaders, 1957, ed. it. I persuasori occulti, Einaudi, Torino, 1958

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