Drogate di bellezza
La pubblicità che usa le donne in modo strumentale e oltraggioso OFFENDE E DANNEGGIA TUTTI.
Per combatterla ci sono diversi strumenti.
LOFFICINA ne ha individuati alcuni che vengono illustrati nel percorso in-formativo DROGATE DI BELLEZZA. La presentazione è integrata da video, annunci, immagini e testo.
Sul tema della parità tra donne e uomini il Parlamento Europeo ha approvato una “Relazione sull’impatto del marketing e della pubblicità” nella quale, tra l’altro, si invitano i paesi dell’Unione a contrastare qualsiasi forma di strumentalizzazione dell’immagine della donna e a sviluppare strategie che contribuiscano a combattere gli stereotipi di genere nella comunicazione e nei mass media.
Ma l’Italia ha un problema con le donne e con l’evoluziuone del loro ruolo nella società.
Lo dimostrano la violenza domestica in cresciuta, le discriminazioni sul posto di lavoro, i modelli maschili proposti dai mass media, gli stereotipi della pubblicità che continuano a presentare le donne come oggetto del desiderio maschile o, in alternativa, come casalinghe perfette e mamme felici, modelli identici, inalterati nel corso dei decenni che non corrispondono alla realtà e non stanno al passo con l’evoluzione della società.
In Italia è impossibile sottrarsi allo spettacolo della “tv delle grechine” e un’intera generazione è cresciuta in una società che ritiene accettabile un’umiliante pornografia soft. E se negli altri paesi eurpei la parità di genere viene attivamente incoraggiata perché considerata un fattore di crescita nazionale, l’Italia va nella direzione opposta, creando un mondo in cui le donne sono considerate soprattutto oggetti sessuali.
Di conseguenza, siamo arrivate ad odiare il nostro corpo per desiderarne un altro. Più bello. Che non esiste.
Eserciti di corpi perfetti, alterati, modificati, ritoccati al computer, irreali, hanno invaso i nostri media e si sono impossessati della pubblicità: la società dei consumi ha trasformato il corpo in un luogo di sofferenza, teatro di insoddisfazioni e insicurezza di sé.
E così, un poco per volta, abbiamo imparato a sentirci a disagio nel nostro corpo, arrivando a praticare una cura ossessiva, alla conquista della perfezione. Che non esiste.
L’industria della moda impone da più di trent’anni la dittatura delle “magre”. Si sta affermando il concetto per cui il grasso merita disprezzo e ripugnanza. Visto come indicatore di classe sociale, il soprappeso è una condizione da evitare. Si produce senso di colpa, per poi vendere soluzioni rapide, apparentemente miracolose e tutta la società ci spinge a pensare che il corpo sia una specie di “infortunio” da sanare con ogni mezzo.
Le adolescenti sono le prime a farne le spese perché la loro insicurezza naturale è terreno molto fertile. ”Cominciare presto, rifare spesso”, è il nuovo mantra dei messaggi pubblicitari, e non solo.
L’industria cosmetica con un giro d’affari di 160 miliardi di dollari l’anno è pari a un terzo dell’industria mondiale dell’acciaio. Sul versante farmaceutico dell’industria dietetica, appaiono con regolarità articoli su nuovi farmaci dimagranti e miracolose creme “antietà”. Perché non solo ingrassare, ma anche invecchiare è diventata una colpa.
L’industria della chirurgia estetica è un settore in forte crescita.
In Italia 180 mila persone ricorrono ogni anno alla chirurgia plastica (dati Swg, 2009).
In Brasile è il governo a finanziare gli interventi al seno perché ritiene che costi comunque meno che pagare la psicoterapia per le donne che hanno scarsa stima di sè.


Negli USA il fatturato annuo della chirurgia estetica è intorno ai 15 miliardi di dollari. In Corea del Sud il 50% delle ragazze si fa rifare gli occhi all’occidentale.
In Oriente ci sono teenager che utilizzano l’apparato di Lizarov nato per scopi ortopedici per allungarsi le gambe, che le costringe a spezzarsi le ossa per tenerle in trazione mentre si rigenerano. Nelle Isole Fiji la televisione è arrivata solo nel 1995: tre anni dopo il 12% delle adolescenti si procurava il vomito per adeguarsi ai modelli occidentali di magrezza.
Contrastare il fenomeno delle discriminazioni è l’obiettivo principale di questo progetto, ma intendiamo anche combattere la disinformazione, indurre studenti e studentesse a riflettere, creare consapevolezza e sviluppare una coscienza diffusa relativamente ai sei ambiti di discriminazione individuati all’art. 10 del Trattato dell’Unione Europea: razza, genere, età, disabilità, orientamento sessuale, religione.
Abbiamo individuato nella lotta agli stereotipi uno degli strumenti per promuovere lo sviluppo delle pari opportunità e per contrastare ogni forma di discriminazione sociale e culturale. Con l’intento di affermare la cultura delle pari opportunità, il progetto intende sviluppare consapevolezza fra le giovani generazioni, proponendo punti di vista alternativi e percorsi di valorizzazione trasversale, in grado di convertire situazioni che costituiscono un vincolo in risorse concrete.
Il fenomeno dei femminicidi e quello delle donne vittime di violenza fisica e psicologica affonda le radici negli stereotipi generati dalla cattiva comunicazione, per questo il progetto intende combattere la disinformazione intorno alla violenza subita dalla donne, sensibilizzare circa l’importanza di proporre modelli culturali improntati al rispetto e alla parità.
È triste ricordare che le immagini proposte dalla pubblicità sembrano non considerare la presenza femminile nel mercato del lavoro. Resta prevalente, infatti, la rappresentazione della donna nel tradizionale ruolo di cura della casa, del marito, dei figli, oltre che come oggetto sessuale del desiderio maschile. Se pensiamo alle comunità migranti, ci accorgiamo che la comunicazione sembra non essersi ancora accorta dell’importanza, non solo numerica, di questi nuovi cittadini.